C'è un frenetico turbinio di iniziative sul tema del design e
sulla linea di sviluppo che esso dovrà percorrere. Conferenze, eventi celebrativi e bandi di gara si propongo quasi in simultanea e spesso ignorandosi fra di loro: essi provocano una sorta di dispersione energetica
che a volte intralcia la collaborazione tra le diverse discipline, o tra i vari gruppi
di lavoro interdisciplinari, forse perché si lavora per
evidenziare i punti di divergenza piuttosto che quelli di contatto, forse perchè c'è ancora confusione su quali debbano essere i riferimenti scientifici.
Tra gli appuntamenti del primo semestre di quest'anno troviamo Londra, dove si è da poco conclusa Conscious Cities, mentre a San Diego l'ANFA apre a nuovi studi di ricerca da presentare alla International Conference del prossimo settembre. Seattle sarà presto sede di una summit che sigilla un connubio tra il Living
Building Challenge e l'istituto di ricerca Terrapin, baluardo del design biofilico, proprio mentre Rick Fedrizzi, forse cosciente dei limiti che i crediti LEED presentano sulla salvaguardia del benessere dell'utenza, apre le porte al WELL Building Standard.
Esistono poi altre iniziative di ricerca globale e trasversale, quale il
progetto di neuroarchitettura ROOMS (lo IUAV tra i suoi principali partners) che cerca di superare
gli ostacoli economici e burocratici di una partecipazione aperta a tutti ricorrendo ad un modello originale di crowdfunding.
Quello che emerge da questo fenomeno è la necessità di effettuare un cambio
di marcia nel mondo della progettazione e dello stesso modo di fare ricerca. Quest'ultima non è più prerogativa
unica delle accademie, ma inizia ad essere fagocitata dal mondo imprenditoriale e dal suo appetito per investimenti intelligenti che abbiano fini
"etici" piuttosto che puramente di profitto. La ricerca è
disorientata e allo stesso tempo crea disorientamento in coloro che finora hanno trovato un riferimento fermo e sicuro.
Le università hanno capito bene
che aria tira e, pur cercando di adeguarsi, procedono con andatura da elefante per il timore di
contaminarsi e perdere la propria identità e purezza.
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Journal of Design And Science |
Ed ecco che arriva l'onda rivoluzionaria, in realtà già in atto da
qualche anno, attualmente cavalcata dal MIT di Boston con il suo"
Journal Of Design and Science" (fondato già nel 1985), con l'idea di
cambiare radicalmente il modo di legittimare la ricerca. Un 'apertura
più democratica al confronto scientifico che si basa sul "peer to peer review",
cioè che si svincola dall'analisi lenta e cattedratica degli anonimi revisori nominati di
volta in volta (peer review), ma si espone alle modifiche di chiunque creda di avere qualcosa di interessante
da dire.
C'è il rischio di una banalizzazione dei problemi affrontati, oppure siamo
di fronte l'opportunità di ascoltare validi
opinioni da chi è rimasto tagliato fuori
dal confronto a causa di un sistema arrugginito e anche , a volte,
corrotto ?
Nel campo del design (dando per scontato che si tratti già di
progettazione sostenibile e umano-centrica), tale atteggiamento inclusivo è
assolutamente necessario oltre che auspicabile. Un "antidisciplinarità" contro la
interdisciplinarità, per usare le stesse parole di Jui Ito, direttore del MIT Media Lab, può essere la giusta via per poter coinvolgere
simultaneamente attori importanti di
diversa estrazione culturale, i quali finalmente uscirebbero dall'ombra della critica
sterile o dell'intervento postumo e per questo vano. Perché mai escludere categorie
che sappiamo bene essere importanti contribuenti nella modellazione e caratterizzazione
dei nostri ambienti quali gli psicologi, filosofi, artisti ?
NOTE:
(*) Si fa riferimento al post di gennaio
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